I pitagorici e la concezione matematica della natura

A partire dal 499 a.C, e cioè dalla ribellione contro i Persiani da parte delle città della Ionia, guidate dal tiranno di Mileto, e la conseguente distruzione di tale città, iniziarono le emigrazioni delle personalità fuggite dall'Asia Minore nella cosiddetta "Magna Grecia", ovvero nelle colonie greche dell'Italia meridionale. Esse erano costituite da potenti città indipendenti dalla madrepatria, tra cui Crotone, in cui si stabilì Pitagora a seguito della sua emigrazione da Samo, fondandovi una nuova scuola filosofica chiamata "Fratellanza Pitagorica", e caratterizzata in particolare dai suoi aspetti religiosi e, dunque, dalla venerazione divina del suo stesso fondatore. Date ulteriori caratteristiche, quali il rispetto di regole ascetiche e la comunione dei beni tra i discepoli, essa potrebbe essere etichettata come setta religiosa, nonostante presenti vari elementi alquanto moderni per l'epoca, come ad esempio l'accettazione della partecipazione anche da parte delle donne. I seguaci si distinguevano inoltre in "acusmatici", dal greco "ascoltatori", vincolati al silenzio, e in "matematici", ai quali era quindi consentito esprimersi, porre domande e seguire le dottrine più impegnative del maestro. A tal proposito, i pitagorici seguivano due principali dottrine, e cioè la dottrina dell'anima e la dottrina del numero.


LA DOTTRINA DELL'ANIMA


Pitagora era interessato al ritrovamento di una via di purificazione dell'anima, intesa come principio divino e immortale imprigionato nel corpo per una colpa originaria. Difatti, secondo la dottrina del diffuso movimento religioso risalente al VI secolo a.C. in Grecia, l'orfismo, che ne riprese i concetti, dopo la morte l'anima sarebbe destinata a un ciclo di reincarnazioni in corpi diversi, interrompendosi poi con l'espiazione totale delle proprie colpe oppure tramite determinate pratiche e riti di purificazione che permetterebbero all'anima un rapido ritorno presso gli dei.

LA DOTTRINA DEL NUMERO


I pitagorici furono, inoltre, i primi teorici nel mondo greco della dottrina del numero, strettamente collegata alla precedente in quanto la vita dell'uomo saggio, ossia del filosofo, si focalizzerebbe sull'ordine e sulla misura attraverso chi frena i propri bisogni corporei. Tale regola pervade tutto il cosmo, dal greco "kósmos", che giustappunto vuol dire "ordine", manifestandosi per esempio sotto forma di moto regolare e ordinato degli astri. Il medesimo principio è oltretutto applicabile sulle melodie musicali, sulle arti e sul succedersi di stagioni, mesi e giorni. Per tale ragione, i pitagorici affermano che la sostanza delle cose consista nel numero stesso, permettendo di guardare oltre le apparenze e giungere alla comprensione di una realtà più profonda del cosmo e interamente costruita da proporzioni quantitative tra i diversi elementi. Il numero costituirebbe, di conseguenza, un'arché, ovvero un vero e proprio principio generatore di tutte le cose.
Nell'idea greca, il numero non si tratta di un qualche cosa di astratto, bensì presenta precise caratteristiche fisiche e geometriche. Un esempio è la rappresentazione pitagorica dell'unità attraverso un punto dotato di estensione spaziale, facendo corrispondere il numero a una figura geometrica e viceversa, da cui il matematico pitagorico Filolao dimostrò come da esso si possano generare altri numeri e tutti i corpi fisici. Dividendosi in pari e dispari, i  numeri contribuiscono a una concezione dualista dell'universo, simboleggiando rispettivamente il bene, perfezione, forma e proporzione in quanto entità limitata, e simboleggiando male, imperfezione, caos e materia in quanto entità illimitata. Nonostante questa contrapposizione, la natura profonda delle cose mostra una tendenza all'armonia e alla riconciliazione.

Altro elemento fondamentale della dottrina pitagorica consiste nell'assunzione dei numeri di un valore simbolico relativo alle virtù sociali, quali:

  • il numero 1, anche definito come "parimpari", come raffigurazione dell'intelligenza;
  • il 2 come raffigurazione dell'opinione mutevole e incerta;
  • il 4 come emblema di giustizia, misura e limite perché rappresentato sotto forma di quadrato del numero 2; ed infine
  • il 10 come numero perfetto, perché rappresentato come triangolo, chiamato "tetractýs", contenente entrambe le unità pari e dispari, e su cui i pitagorici giuravano fedeltà all'associazione.




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